domenica 22 settembre 2019

La dimensione religiosa

Cosa è la dimensione religiosa dell'uomo? Quanto incide nella storia?

CLAUDIO BURGIO. «MONSEF, LA FUGA E L’ATTESA»

Sono passati due anni da quando Monsef e Tarik sono fuggiti in Siria per arruolarsi nell’Isis. Fino a quel momento vivevano nella comunità Kayrós di don Claudio Burgio, che accoglie ragazzi difficili. Arrivati dal Marocco che erano ragazzini, se ne sono andati di notte in pullman, a vent’anni, diventando all’improvviso irriconoscibili nelle foto postate su Facebook con i mitra in mano: i più giovani jihadisti partiti dall’Italia per l’autoproclamato Stato islamico.

Da allora sono iniziate le indagini, gli interrogatori e l’attenzione dei giornali, su cui Burgio è stato accusato di essere stato troppo ingenuo. Per lui sono stati due anni di domande e cammino. Quel 17 gennaio 2015 «la mia vita di prete e di educatore si è interrotta, come sospesa dentro a un dramma a cui non ho saputo dare spiegazioni plausibili». Lo scrive nel libro In viaggio verso Allah, che è una lunga lettera a Monsef, tra i due quello con cui il legame era più stretto e più tormentato, un ragazzo dal passato duro, che di sé diceva «ho avuto due genitori, ma non un padre e una madre». Il libro racconta i quasi cinque anni di convivenza, la rabbia, i dialoghi, le aperture, la droga, i mesi di carcere, il ricominciare insieme, di nuovo. Poi i silenzi, e lo shock della fuga. Fino al dolore più buio, la notizia della morte di Tarik dopo pochi mesi da combattente.

Nella lettera a Monsef, su cui oggi pende un mandato di cattura internazionale, Burgio scrive: «Perché? È la domanda che mi accompagna da quando sei partito. Non ha a che fare solo con il mistero della tua vita, ma anche con il senso della mia esistenza». E così lui si è lasciato sconvolgere, mettere in discussione, e continua a farlo, ma soprattutto continua ad accogliere i ragazzi che gli vengono affidati. Una scelta vertiginosa. Nell’appello per la recente Giornata mondiale del migrante, il Papa ha detto: «Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro». Nella comunità alle porte di Milano - dove i ragazzi oggi sono una cinquantina, più della metà musulmani - ci ha raccontato il cammino iniziato da quell’ultimo sms che Monsef gli ha inviato mentre fuggiva: «Ciao Burgio. Stammi bene e prega Allah che ti dia la sua retta via e ci guida verso sé nella sua luce inshallah il paradiso...».
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Secondo lei, che cosa l’ha spinto a partire?
Si era “intossicato” di Occidente, come molti giovani che arrivano qui. Credo che, quando se n’è accorto, ha voluto svoltare radicalmente, cercando la sua appartenenza originaria: una narrazione pseudoreligiosa forte, che lo salvasse da una realizzazione solo materiale. Era una grandiosa esigenza di riscatto. E credo sia importante considerare che questo non riguarda solo i ragazzi stranieri, ma anche i “nostri” giovani. Per quanto tempo si lasceranno attrarre da soddisfazioni immediate, si accontenteranno di una vita senza grandi ideali? È un’epoca che io chiamo dell’“io minimo”: domina l’idea che basti una qualsiasi soddisfazione ma, in realtà, sotto la cenere, il fuoco del desiderio continua a bruciare. Dove troverà risposta? È questa la domanda aperta con i ragazzi che accompagno.

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